“Stella polare”,centro anti-violenza dove si riscrive anche la favola di Biancaneve.

A Villa Latina, esiste da qualche anno :“Stella polare”, punto di riferimento per l’intero progetto: «Il compito del centro sta proprio nel guidare ed accompagnare le donne attraverso un percorso che permetta loro di reinserirsi nella vita quotidiana» spiega Elisa .
Il centro antiviolenza ha ospitato soltanto nel primo anno 12 donne, il numero è raddoppiato nel 2017, quando le donne che hanno richiesto di essere accolte sono state ben 24, abbastanza se si pensa che stiamo parlando di un piccolo paese. Nello stesso anno, ha ricevuto ben 67 richieste d’aiuto. Il centro inoltre collabora sia con le forze dell’ordine, sia con l’ospedale SS. Trinità di Sora. Grazie all’infermiera Nadia Gabriele è stato attivato un “percorso rosa” attraverso il quale si dà assistenza e supporto a chi ne abbia bisogno. Le donne che si recano in ospedale a seguito di violenze, più di ottocento lo scorso anno, vengono informate sull’esistenza dei centri in grado di aiutarle e sostenerle. La maggior parte di loro non ha una stabilità economica e proprio per questo continuano a vivere insieme ai propri aguzzini, si sentono sole e non sanno dove andare. Il centro antiviolenza le ospita e garantisce loro un’indipendenza economica reinserendole nel mondo del lavoro. Per esempio attraverso il “Laboratorio eco solidale”, un progetto che ha visto l’inserimento di 15 donne all’interno di un ambiente lavorativo e che si è svolto all’interno dell’isola ecologica di Sora grazie al finanziamento dell’Unione europea. Ha permesso alle donne di riscoprire le proprie capacità, di sentirsi attive ed utili. Hanno imparato inoltre a creare oggetti riciclando il materiale che veniva abbandonato nell’isola ecologica.

«Grazie alla responsabile del laboratorio, Alessia Garonfalo, siamo riusciti a collaborare anche con le attività commerciali del territorio che spesso ci contattano per creare allestimenti eco-solidali per matrimoni e non solo – riprende la Viscogliosi – Questa attività ha riscosso molto successo e nonostante il finanziamento sia terminato stiamo andando avanti. Ma ovviamente per avviare queste esperienze abbiamo bisogno di risorse». E qui si tocca il tasto dolente, perché la Regione aveva stanziato lo scorso anno circa 185 mila euro con i quali Villa Latina avrebbe potuto creare nuove attività. Peccato però che a causa di un errore burocratico da parte degli operatori comunali la domanda non è stata perfezionata e a vincere il bando è stato l’unico altro comune in gara, quello di Alatri. «Dopo aver letto l’esito della graduatoria – commenta la direttrice del centro – sono rimasta sconvolta, abbiamo perso una grande opportunità per una distrazione avvenuta all’interno degli enti comunali. La nostra sede poi è confinante con il Comune, avrebbero potuto affacciarsi dalla finestra e chiederci la documentazione aggiuntiva richiesta dalla Regione. Ma non ci lasceremo scoraggiare e proseguiremo con i nostri progetti, questo centro sta dando tanto a donne e bambini, non ci fermeremo».

Quella che il centro sta offrendo a Villa Latina è una grande lezione di vita, gli abitanti vengono resi partecipi di queste nuove iniziative e nelle scuole aumentano sempre più i progetti finalizzati a sensibilizzare sull’argomento anche dei più piccoli. La casa rifugio collabora, infatti, anche con gli asili attraverso la rivisitazione delle favole in chiave di genere. «Riscriviamo le favole affinché i più piccoli capiscano il valore e la forza delle donne – continua Elisa Viscogliosi – Per esempio abbiamo rivisitato la favola di ‘’Biancaneve e i sette nani’’ in cui la protagonista però non rimane in casa a rassettare, spolverale e a svolgere le faccende domestiche ma va anche lei con i nani a lavorare, inoltre non avrà bisogno del bacio del principe per svegliarsi e salvarsi ma ci riuscirà da sola. È una donna, insomma, prima di essere una buona moglie, una buona madre, una brava casalinga. Speriamo così di rompere gli squilibri di genere e di far nascere un nuovo senso di solidarietà e collaborazione nella comunità locale».

Progetto:”La vita Sotto il turbante”le donne lavorano per le donne.

turbanti per donne in chemioterapia fatti dalle detenute di San Vittore

Il progetto nato dall’alleanza tra tre associazioni.
Usciranno dalla sartoria del carcere di San Vittore e saranno a disposizione delle donne in cura all’Istituto nazionale per i tumori, nella stessa Milano: sono turbanti colorati, trasformati in accessori alla moda e nel simbolo di un’alleanza fra detenute e malate.

Il progetto si chiama “La vita Sotto il turbante” ed è nato dalla collaborazione tra l’associazione Go5-Per mano con le donne, una Onlus dedicata alle pazienti del reparto di Ginecologia Oncologica dell’Istituto dei Tumori di Milano, e la Cooperativa Alice per Sartoria SanVittore.

L’idea è venuta alle volontarie di Go5 e si è poi concretizzata fino ad ottenere, grazie all’attenzione dell’assessorato alle Politiche Sociali, il patrocinio del Comune di Milano e della Camera Penale di Milano. Circa un anno fa la stilista di Sartoria SanVittore, Rosita Onofri, ha studiato un modello semplice e innovativo, costruito con tessuti naturali e abbinati a stoffe colorate provenienti da India, Marocco, Mauritania.

Dopo essere stati testati dalle stesse pazienti che hanno suggerito qualche ritocco, nei mesi scorsi ha preso il via la produzione dei turbanti “made in carcere”: le detenute hanno confezionato capi che saranno disponibili dietro una donazione con lo scopo di raccogliere fondi da destinare alla ricerca scientifica per la diagnosi precoce del tumore ovarico.

Allo stesso tempo, commissionando i turbanti a Sartoria SanVittore si potrà offrire lavoro a coloro che, pur lontane da casa, con il loro stipendio cercano di sostenere il bilancio familiare. L’iniziativa, inoltre, propone un messaggio di solidarietà tra donne che soffrono, seppure per motivi diversi. Il turbante infatti, può portare le donne che si trovano in carcere fuori dalla cella, consentendo loro di instaurare un dialogo, sebbene ideale, con la città e e anche tra le carcerate e le pazienti.

“Il cancro è uno dei tabù della nostra società – spiega in una nota Francesco Raspagliesi, direttore dell’Unità di Oncologia Ginecologica della Fondazione Irccs Istituto Nazionale dei Tumori di Milano – e rappresenta simbolicamente l’aspetto oscuro della vita. Nonostante i fantastici progressi della terapia, sono ancora gli insuccessi che colpiscono maggiormente l’attenzione e ne definiscono l’immagine pubblica”.

Basta polistirolo! Dalle piante un’alternativa vegetale.

Un materiale ricavato dai vegetali funziona meglio del polistirolo, ed è decisamente più ecologico. I ricercatori della Washington State University hanno dimostrato che i nanocristalli di cellulosa, se opportunamente lavorati, sono più isolanti dell’inquinante polistirolo e possono essere prodotti usando acqua invece che solventi nocivi.La cellulosa è senza dubbio il materiale vegetale più abbondante sulla Terra e quindi ecocompatibile. Cosa che difficilmente si può dire per polistirolo e polistirolo espanso, largamente usati, purtroppo, come materiali isolanti in molteplici applicazioni (edilizia, trasporti, imballaggio), e prodotti dal petrolio.

Però hanno delle indubbie proprietà, che finora nessun altro materiale più sostenibile sembrava eguagliare. E la stessa cellulosa, troppo abbondante ed ecofriendly per essere ignorata, era stata già testata come fonte di materiali per la costruzione di edifici e la realizzazione di strumenti musicali e gioielli.
Ma come isolante non si erano mai ottenuti i risultati sperati: i materiali ricavati così infatti non erano così forti, non isolavano e degradavano a temperature e umidità più elevate del polistirolo. Difficile così imporsi sul mercato.

Ora sembra arrivata la svolta: i ricercatori della Washinton State University, infatti, hanno creato un materiale costituito da circa il 75% di nanocristalli di cellulosa, con aggiunta di alcool polivinilico, che rende il tutto più elastico.

E, utilizzando un processo in acqua invece che in solventi tossici, il risultato è qualcosa di molto omogeneo, che indica ottime capacità isolanti. Anzi, secondo gli esperti, il materiale a base vegetale ottenuto ha superato le capacità isolanti del polistirolo. Inoltre è anche molto leggero e può supportare fino a 200 volte il suo peso senza cambiare forma. Si degrada bene e bruciandolo non produce ceneri inquinanti.
Ecosostenibile perché non ricavato dal petrolio, indubbiamente. Tuttavia l’industria della cellulosa è anche tristemente legata al disboscamento delle foreste, proprio perchè ricavata dagli alberi. In Indonesia i terreni agricoli delle piantagioni di olio di palma e cellulosa vengono bruciati per favorire i raccolti successivi e guadagnare spazio a scapito delle foreste locali.
Ci auguriamo quindi che le auspicabili produzioni di massa utilizzino materiali a loro volta ricavati con alternative che non incidono sulle nostre distese di alberi, l’unica risorsa che abbiamo di ossigeno, purtroppo sempre più minacciata.

Il lavoro, finanziato dal Dipartimento per l’Agricoltura degli Stati Uniti e dall’Ufficio di commercializzazione della Washinton State University.

Codice Rosa per chi subisce violenza, dal 2015 la Toscana ne è capofila. .

Il “Codice Rosa” è un percorso di accoglienza al pronto soccorso dedicato a chi subisce violenza, che si colloca e si armonizza con la storica rete dei centri antiviolenza e delle altre associazioni di volontariato e solidarietà. Parte da una stanza dedicata all’interno del pronto soccorso, nella quale accedono tutti gli specialisti che dovranno visitare la/il paziente. Il suo punto di forza è una task force interistituzionale, una squadra formata da personale socio-sanitario (infermieri, ostetriche, medici, assistenti sociali, psicologi), magistrati, ufficiali di Polizia giudiziaria impegnati in un’attività di tutela delle fasce deboli della popolazione, quelle che possono essere maggiormente esposte a episodi di abuso e violenza: donne soprattutto, ma anche minori, anziani, persone vittime di abusi e discriminazioni sessuali.

L’intervento congiunto di questa task force permette di prestare immediate cure mediche e sostegno psicologico a chi subisce violenza, nel fondamentale rispetto della riservatezza. Questa attività congiunta avviene nella più ampia tutela della privacy e dei “tempi dei silenzi” delle vittime e nel rispetto della loro scelta sul tipo di percorso da seguire dopo le prime cure. Il compito principale del gruppo è l’assistenza socio-sanitaria e giudiziaria alle vittime di violenza, con un’attenzione particolare a far emergere quegli episodi di violenza in cui le vittime hanno difficoltà a raccontare di essere state oggetto di violenza da parte di terzi: una reticenza dovuta spesso alla paura di ritorsioni.
Alla base dell’attività della task force c’è un protocollo firmato congiuntamente da Regione Toscana e Procura della Repubblica. Alle cure si affianca l’azione sinergica e tempestiva delle Procure e delle forze dell’ordine, per rilevare tutti gli elementi utili, avviare le indagini, monitorare e tenere sotto controllo le situazioni a rischio nei casi di mancata denuncia. L’adozione di procedure condivise e di specifici protocolli operativi ha consentito di velocizzare i tempi di indagine e dei processi.

Il Codice Rosa non sostituisce il codice di gravità del pronto soccorso, ma viene assegnato insieme al codice di triage da personale formato a riconoscere segnali spesso taciuti di violenze. Agli utenti ai quali viene attribuito il Codice Rosa è dedicata una stanza, dove vengono create le migliori condizioni per l’accoglienza, la cura e il sostegno, nonché l’avvio delle procedure d’indagine in collaborazione con le forze dell’ordine e, se necessario, l’attivazione delle strutture territoriali per la tutela di situazioni che presentano livelli di rischio elevati.

In Toscana nel 2015 sono stati 3.049 (2.623 adulti e 426 minori) i casi emersi grazie al progetto : 2.877 per maltrattamenti (2.504 adulti e 373 minori); 147 per abusi (94 adulti e 53 minori); 25 per stalking (solo adulti). Nel 2014 erano stati 3.268. Dall’inizio del 2016 nella Asl Toscana Centro è partita una sperimentazione che ha migliorato e reso più efficace il progetto del Codice Rosa, introducendo un servizio che consente di seguire e assistere sul piano sociale e psicologico le persone vittime di violenza che si sono presentate al pronto soccorso. La regione ha destinato 70.000 euro per questa sperimentazione, prevedendo anche il proseguimento delle attività formative a carattere regionale, per garantire la formazione del personale delle aziende che opera nell’assistenza, cura e tutela delle persone vittime di violenza nell’ambito del progetto Codice Rosa.

Dona il tuo 5 x 1000 All’Associazione pe rla Fondazione Paola Decini.

Una scelta che non costa nulla.Il 5×1000 non è una tassa in più, ma una quota di imposte a cui lo stato rinuncia a favore delle organizzazioni non profit.Puoi effettuare un bonifico bancario:Associazione per la Fondazione Paola Decini CF: 97744130580 IBAN: IT65C0335901600100000124852 BANCA PROSSIMA Spa
Tutto il ricavato verrà utilizzato per garantire sostenibilità e continuità al progetto #COLLINA DEI VENTI.(Il progetto COLLINA DEI VENTRI prevede una Casa di Seconda ,,accoglienza per le donne vittime di violenze -a Bracciano località la Macchia-e sull’agricoltura con il recupero di antiche colture unito all’innovazione , ma anche accompagnato da una serie di realtà produttive, sociali e culturali sì da creare una Comunità Solidale capace di interagire postivamente con quella locale, determinando sviluppo a 360 gradi ed , ovviamente, posti di lavoro. Un progetto, quindi, all’avanguardia in Europa, un esempio tale da poter essere positivamente imitato altrove).

Casa di Nilla da vent’anni dalla parte dei bambini.

In Calabria il Centro specialistico gestito dalla coop sociale Kyosei è unico nel suo genere nel Mezzogiorno

Calabria, profondo Sud. Capita che invece di parlare di mafie e ‘ndrangheta si possa parlare di eccellenza: sociale, culturale e scientifica. E una di questa è La Casa di Nilla, Centro specialistico della Regione Calabria per la cura e la tutela di bambini ed adolescenti in situazioni di abuso sessuale e maltrattamento.

Unico nel suo genere nell’Italia meridionale, “intende garantire un approccio multidisciplinare, articolato sul piano clinico, sociale, educativo e giuridico, alla gestione del complesso fenomeno dell’abuso e del maltrattamento all’infanzia ed all’adolescenza. Pertanto opera in sinergia con la rete dei diversi servizi ed agenzie territoriali a vario titolo deputati alla tutela del benessere e dei diritti di bambini e ragazzi”. Così spiegano gli operatori del Centro.Scuola la mattina,compiti e attività artistiche o sportive nel pomeriggio.Sebbene la presa a carico dei minori abusati sia finalizzata al rientro in contesti familiari adeguati, a volte cio’ non è possibile.Nel 2010 è stata avviata la FATTORIA CASA NILLA per l’inserimento di quei ragazzi che dovendo lasciare la struttura non hanno un posto dove andare .Con l’agricoltura sociale hanno adesso prodotto : vino e miele e frutti di bosco!

Possiamo sfruttare al massimo la vita che abbiamo, usandola il più possibile per fare il bene e combattere il male.

Il libro che mi ha spinto a lottare per un mondo più giusto
George Monbiot, The Guardian, Regno Unito

Ho visto persone subire traumi incredibili e uscire ben poco cambiate da quell’esperienza. Ne ho viste altre completamente sconvolte da quelli che sembravano eventi insignificanti, come il battito d’ala di una farfalla che provoca una tempesta. Non possiamo aspettarci che un sistema complesso come la mente umana reagisca sempre in modo prevedibile o lineare.

Tendiamo a impiegare grandi risorse psicologiche per impedire a noi stessi di cambiare: a volte saggiamente, quando rischiamo la disperazione o la follia; altre volte scioccamente. Per paura della tempesta, siamo capaci di privarci di un’esperienza, e di privare gli altri dei cambiamenti che dovremmo fare per diventare persone migliori.

Sapendo tutto questo, mi stupisce che una cosa così insignificante abbia tanto condizionato la mia vita. Lo scorso agosto, ho scritto un articolo per la serie del Guardian A book that changed me (Un libro che mi ha cambiato). Il mio contributo era un po’ diverso dagli altri perché non ricordavo il titolo. Avevo trovato quel libro quando avevo otto anni in uno scatolone polveroso nell’infermeria del mio collegio, e lo riprendevo ogni volta che mi ammalavo. È stata la prima lettura che ha in qualche modo bilanciato un’infanzia immersa nel conservatorismo ideologico e politico, e mi ha influenzato profondamente. Ho descritto il libro brevemente, e a quanto sembra in modo molto impreciso. Così ho chiesto aiuto ai lettori.

Possiamo sfruttare al massimo la vita che abbiamo, usandola il più possibile per fare il bene e combattere il male

Il risultato è stato il meglio e il peggio di internet. Molti lettori mi hanno dato suggerimenti e altri si sono generosamente dati da fare per trovarlo. Alcuni mi hanno consigliato libri affascinanti che avevano cambiato la loro vita. Ma questi tentativi di aiuto sono stati sommersi da una marea di critiche al vetriolo del tipo: come osi essere di sinistra, parlarci della tua vita, presumere di esistere dopo aver frequentato una scuola privata?

Be’, il problema dell’infanzia è che non puoi controllarla: è determinata dal contesto in cui vivi. Prendersela con qualcuno per le sue origini non è più razionale che farlo per il suo genere, l’altezza o il colore della pelle.

Possiamo aspettare fino a quando non ci reincarneremo nella classe socioeconomica giusta, oppure sfruttare al massimo la vita che abbiamo, usandola il più possibile per fare il bene e combattere il male. La sinistra sarebbe molto più deprimente se non avesse avuto qualche pensatore proveniente da un ambiente privilegiato. Potete sconfessare persone come George Orwell, Tony Benn, Pëtr Kropotkin, Friedrich Engels, Elizabeth Fry, Lev Tolstoj, William Morris, Beatrice Webb, Gandhi, Alexandra Kollontaj, Bertrand Russell, Vera Brittain, Clement Attlee, William Beveridge, Franklin Roosevelt, Paul Foot e Millicent Fawcett perché appartenevano o appartengono alla classe sbagliata. Oppure potete giudicare una persona per quello che fa piuttosto che per come è nata.

Ho capito quanto poco sono affidabili le nostre convinzioni. Usiamo la fantasia per riempire vuoti di cui non ci rendiamo conto

Ma per tornare al punto principale, devo assolutamente scusarmi con i lettori. All’inizio della discussione, ho scoperto che alcuni di loro avevano identificato correttamente il libro. Ma quando avevo guardato la copertina e le altre illustrazioni che avevo trovato online non lo avevo riconosciuto.

Così le persone hanno continuato a cercare. Solo quando, a discussione ormai chiusa, qualcuno mi ha mandato la foto di una particolare pagina, improvvisamente nella mia memoria si è accesa una scintilla.

Il libro, ormai fuori stampa da tempo, si intitolava Paolo and Panetto, e l’autrice era Bettina Ehrlich, una scrittrice austriaca in esilio. Ne ho ordinato una copia usata. Appena l’ho avuto in mano e ne ho sentito l’odore, sono stato travolto da un’ondata di sentimenti confusi. Improvvisamente, ho provato di nuovo la gioia della sua scoperta, la fascinazione e l’intensità con cui lo avevo letto, e la sofferenza di essere disteso in quella triste infermeria lontano da tutti quelli che amavo. Come per esorcizzare quei fantasmi, invece di leggerlo da solo, mi sono accoccolato vicino a mia figlia di tre anni e l’ho letto a lei. Le è piaciuto quanto era piaciuto a me.

Due cose mi hanno colpito in particolare. La prima è stata la frammentarietà della mia memoria. Ricordavo la trama a grandi linee, ma avevo sovrapposto due personaggi, cancellando dalla storia quello più interessante – il giovane dio Pan. Nel mio ricordo, un bambino viziato che viveva in un appartamento di lusso una sera ne aveva incontrato un altro che raccoglieva le cicche per strada. Quest’ultimo lo aveva portato in campagna e gli aveva fatto conoscere libertà che ignorava. Ma nell’originale, quella che aveva incontrato era una bambina. Grazie a lei aveva conosciuto Pan (o Panetto), che lo aveva portato nei campi e nei boschi. Questo mi ha fatto capire quanto poco sono affidabili le nostre convinzioni. Usiamo la fantasia per riempire vuoti dei quali non ci rendiamo conto. Siamo testimoni inaffidabili di noi stessi.

Il girone più basso dell’inferno è quello in cui nulla cambia, in cui nessuno può modificare il proprio destino

La seconda cosa di cui mi sono accorto è che la storia era meno forte di quanto ricordassi. Nella mia mente era diventata un’aspra denuncia della disuguaglianza, forse scritta da un comunista italiano. Ma il libro affronta il discorso politico con leggerezza. All’inizio il bambino viziato e la bambina stracciona scoprono le differenze tra le loro vite. Ma poi questo tema viene abbandonato fino alla fine, quando Paolo getta le sigarette di suo padre dalla finestra perché i ragazzi di strada possano raccoglierle.

È tutto qui: un bambino privilegiato ma trascurato esce dal suo mondo isolato, ne incontra un altro che vive in povertà e cerca di ridistribuire una minuscola parte della ricchezza della sua famiglia. È stato questo battito d’ala di una farfalla ad avviare il processo che avrebbe cambiato la mia vita.

Ovviamente non è stato l’unico. Centinaia di eventi successivi hanno contribuito a influenzarmi, e continuano a farlo. Spero che questo processo non si fermi mai. Per me, vivere una vita piena significa essere aperto all’esperienza e alla persuasione, sperimentare sempre nuove idee e conoscenze, rischiare il ridicolo verificando nuove teorie. Il pensiero di cadere in una statica rispettabilità mi atterrisce.

Aveva ragione Dante. Il girone più basso dell’inferno è quello in cui nulla cambia, la vita è congelata nell’immobilità, nessuno può modificare il proprio destino. Chi sostiene che a una certa età è impossibile cambiare idee e abitudini, che il lupo perde il pelo ma non il vizio, si taglia fuori della vita.

In una società che pretende di essere democratica, ereditare una posizione sociale, con la ricchezza e le opportunità che comporta, è già un male. Ereditare anche idee e strutture mentali significa rinunciare non solo all’onestà intellettuale, ma anche a buona parte della nostra umanità.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Da Cascina a Skate Farm, spazio condiviso multifunzionale ,solidale.

Al centro lo skateboarding e intorno a questo la coltivazione di un orto collettivo per la comunità, la creazione di un percorso di Orto Didattico rivolto ai bambini e ai genitori, il coinvolgimento della comunità locale e delle associazioni, attività manuali e ricreative collegate alla natura e allo sport e coinvolgimento di persone con fragilità. È Skate Farm alle porte di Alessandria.
Skate Farm parte da molto lontano, ed ha iniziato a concretizzarti solo nel 2011 quando è stata messa a disposizione da Angelo Invernizzi un’antica Cascina e i terreni annessi : a San Giuliano Nuovo (AL), ora gestiti da Massimiliano e Felipe.
“La cascina era totalmente da ristrutturare e trasformare ma armati di passione, amore per lo skate e voglia di creare un luogo unico ce l’abbiamo fatta, aiutati da molti amici. In quattro mesi abbiamo ridato vita a questo luogo rispettandone la storia e la natura -ci raccontano Felipe Le Suer e Massimiliano Barile gli ideatori del progetto- Giusto in quel periodo ci eravamo interessati per curiosità alla dismissione dell’ex Trinity Skatepark e abbiamo comprato le rampe da loro rimontandole poi qui. Al momento, dopo aver recuperato la vecchia stalla, stiamo sistemando la vecchia unità abitativa della cascina per realizzare nuovi progetti. Una parte è già stata sistemata ed è usufruibile per tutti coloro che vogliono fermarsi più giorni avendo a disposizione già due camere da letto”.

In un’ottica di economia circolare ed ecosostenibile, per ristrutturare gli spazi è stato riciclato tutto il possibile, ridando nuova vita a oggetti e materiali in disuso.

Il 16 dicembre 2012 la Skate Farm, unico skate park al coperto in Piemonte, ha aperto ufficialmente le porte ai giovani e da allora a oggi non ha mai smesso di accogliere appassionati provenienti da diverse regioni grazie all’associazione “La brugola Skate” affiliata alla FISR, Federazione Italiana Sport Rotellistici. Il luogo offre, oltre alla possibilità di skateare in tutta sicurezza, una zona di ristoro per picnic e grigliate, un grande spazio all’aperto per fare giocare i bambini a contatto con la natura e fare lunghe passeggiate.
Skate Farm è nato per l’unione e la coesione sociale con lo scopo di creare un luogo sano e piacevole, dove le persone possono socializzare e conoscersi. Vuole essere uno spazio di cui la comunità si appropria per abbellire la periferia, formare legami, formare bambini consapevoli, uno spazio di scambio e interscambio, un laboratorio progettuale aperto alla creatività sia individuale che di gruppo, un punto di riferimento sempre spalancato alla comunità.

“Nel grande spazio verde dello Skate Farm abbiamo iniziato ad allestire anche un piccolo appezzamento di terra destinato a un orto condiviso, che sarà a disposizione di tutti. Durante la coltivazione e la cura dell’orto, si coinvolgono e si mettono in relazione giovani con anziani, genitori e figli nativi e immigrati, in uno scambio che crediamo possa avere positive ricadute sociali e culturali”.

Skate Farm vuole infatti diventare sempre di più un luogo d’incontro e scambio di saperi che attraverso il contatto con la natura e lo sport ponga le basi nelle nuove generazioni, per costruire una società migliore per il domani e crescere le proprie passioni. Un luogo per promuovere l’autostima e l’emancipazione di ciascuno, in cui Sport e Natura siano valori aggregativi e formativi rivolti non solo agli appassionati che frequentano già lo Skatepark, ma a tutte le fasce di popolazione. Una attenzione speciale è rivolta ai più deboli, a rischio di emarginazione, al fine di prevenire il disagio e favorire l’integrazione e la coesione sociale, contrastando cosi ogni forma di marginalità e discriminazione, in una dimensione inclusiva e di partecipazione dell’intera comunità locale.

“Una parte di orto è già stata realizzata; ora si provvederà all’ingrandimento dell’area destinata alle attività orticole con l’abbattimento di eventuali barriere architettoniche in modo che anche persone con disabilità possano usufruire di tutti gli spazi. Sempre in un’ottica di economia circolare, si costruiranno con materiali di recupero vari cassoni di diverse altezze per permettere a tutti di accedervi. Oltre alle piante orticole coltivate nel rispetto dell’agro-ecologia e con metodi eco-compatibili, verranno trapiantate piante aromatiche per i laboratori sensoriali e verrà mantenuta la coltivazione di camomilla che qui cresce spontanea. L’orto verrà strutturato in modo tale da permettere sia attività ludiche che didattiche, rispettando appositi spazi tra una parcella e l’altra, realizzando camminamenti e scivoli, con spazi e finalità differenti per favorire possibilità, diversità ed equilibrio”.

Nel 2018 avviene infatto l’incontro con un’educatrice e terapista orticolturale, Margherita Volpini, da cui ha preso forma l’idea di creare un ambiente educativo multifunzionale, come occasione di inclusione e integrazione, per i più piccoli e non solo, programmando delle giornate in cui oltre a praticare lo skateboarding in sicurezza seguiti dagli istruttori che hanno dato vita allo Skate Farm, ci sia la possibilità di fare esperienze ludiche e didattiche in natura e nell’orto seguiti da personale specializzato in educazione in Natura.

Infine, nel pieno rispetto della filosofia con cui è stata restaurata la Skate Farm, si proporranno laboratori di riuso e riciclo per insegnare ai bambini che nulla è inutile e che materiali che tendenzialmente verrebbero buttati, grazie alla creatività, alla potenzialità di ciascuno possono trovare una nuova vita.

Dall’ENEA il giardiniere virtuale:meno spese, più verde e una qualità della vita più alta.

Il progetto si chiama Anthosart Green Tool e punta a ridurre i costi di gestione e il consumo d’acqua, ma anche a scoprire eventuali utilizzi alternativi delle piante.

Un “giardiniere virtuale”, pensato per pc e smartphone, ci aiuterà a progettare e curare il nostro spazio verde. Questo – e molto altro – è quello che ha pensato di fare Enea con il suo nuovo progetto Anthosart Green Tool, condotto in partnership con Forum Plinianum e Società Botanica Italiana e finanziato dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca.

Quello ideato da Enea è uno strumento innovativo e di facile utilizzo, che promette di farci risparmiare anche su costi di gestione e consumo d’acqua, oltre a scoprire eventuali utilizzi alternativi delle piante – come nell’alimentazione e nell’artigianato, ma anche i loro legami con l’arte, la letteratura, la musica e il territorio – e i modi migliori per farle crescere.

Puntare sulla flora italiana

Questo strumento – che dispone di un database di oltre 1.400 specie di piante presenti nel nostro Paese – è indicato per vivaisti e amministratori, ma anche per privati cittadini. Permetterà così a professionisti del settore e semplici appassionati di progettare aiuole, giardini e aree verdi nel pieno rispetto della natura, sulla base dell’area geografica e delle caratteristiche ambientali.

Obiettivo di Anthosart Green Tool infatti, è anche quello di incentivare l’utilizzo della flora italica. “La ricchezza della nostra flora – spiega Patrizia Menegoni, della divisione ENEA di Protezione e valorizzazione del territorio e del capitale naturale – con oltre settemila specie, e la capacità di adattamento alle diverse caratteristiche ambientali del territorio, offre grandi opportunità per la progettazione del verde e risponde anche alle esigenze di diversificazione dell’offerta del settore vivaistico”.

Quindi, dopo aver inserito i dati relativi all’area geografica, altitudine d’interesse, tipo di infrastruttura da realizzare (aiuola, giardino roccioso, viale, ecc.), tipologia e colori preferiti, livello di luminosità, umidità e salinità del terreno, il sistema ci informerà sulle specie più idonee e avremo accesso a fotografie, schede botaniche, approfondimenti culturali, consigli pratici e link utili.
Quali vantaggi

La spesa complessiva per consumi di gardening in Italia supera i 2 miliardi e 700 milioni di euro. E il trend è in continua crescita in tutto il mondo, con un giro di affari che supera gli 86 miliardi di dollari.

Sembra essere un buon momento, dunque, per sensibilizzare le persone e incentivarle a realizzare più aree verdi in città, cercando sempre di valorizzare la biodiversità nazionale. “Giardini, bordure, aiuole, tetti e pareti verdi potranno divenire luoghi di collegamento tra le infrastrutture verdi e il paesaggio naturale – prosegue Menegoni – per riportare la natura in città e costruire un verde urbano più sostenibile, migliorando anche la qualità della vita e il benessere delle persone”.

Oltre a regalare migliori performance, con la riduzione dei costi di gestione e del consumo dell’acqua, ci sono infatti ulteriori vantaggi dovuti all’inserimento nelle aree verdi di specie spontanee e non aliene, che possono favorire un “florovivaismo di qualità”, con la produzione di specie della flora d’Italia non ancora presenti sul mercato. Meno spese, più verde e una qualità della vita più alta, insomma: tre obiettivi concreti che Enea vuole aiutarci a raggiungere grazie a un semplice strumento digitale, in grado di guidarci anche se non siamo in possesso del famigerato pollice verde.

In Svizzera creato un prototipo con i funghi per sostituire la plastica.

In Svizzera un gruppo di giovani ricercatori sta studiando le proprietà fisiche dei funghi con l’obiettivo di realizzare un valido sostituto alla plastica. Per la precisione otto studenti della facoltà d’ingegneria ambientale e architettura del Politecnico di Losanna stanno sperimentando le potenzialità pratiche del micelio, l’insieme di filamenti costituenti il tallo dei funghi. Questa sostanza filiforme si può legare in maniera naturale a vari substrati, come la segatura, e la miscela risultante può essere modellata in oggetti come mattoni, pannelli, trucioli di imballaggio e persino mobili.

“L’idea – spiega Gaël Packer, uno studente di ingegneria ambientale – è nata quando abbiamo incontrato studenti di architettura della nostra scuola per sviluppare un’alternativa originale e innovativa ai materiali da costruzione esistenti”. Ispirati da una conferenza TED, Paker e i suoi compagni hanno voluto dare il loro contributo alla comunità di pionieri preoccupati per il futuro del nostro pianeta.