Possiamo sfruttare al massimo la vita che abbiamo, usandola il più possibile per fare il bene e combattere il male.

Il libro che mi ha spinto a lottare per un mondo più giusto
George Monbiot, The Guardian, Regno Unito

Ho visto persone subire traumi incredibili e uscire ben poco cambiate da quell’esperienza. Ne ho viste altre completamente sconvolte da quelli che sembravano eventi insignificanti, come il battito d’ala di una farfalla che provoca una tempesta. Non possiamo aspettarci che un sistema complesso come la mente umana reagisca sempre in modo prevedibile o lineare.

Tendiamo a impiegare grandi risorse psicologiche per impedire a noi stessi di cambiare: a volte saggiamente, quando rischiamo la disperazione o la follia; altre volte scioccamente. Per paura della tempesta, siamo capaci di privarci di un’esperienza, e di privare gli altri dei cambiamenti che dovremmo fare per diventare persone migliori.

Sapendo tutto questo, mi stupisce che una cosa così insignificante abbia tanto condizionato la mia vita. Lo scorso agosto, ho scritto un articolo per la serie del Guardian A book that changed me (Un libro che mi ha cambiato). Il mio contributo era un po’ diverso dagli altri perché non ricordavo il titolo. Avevo trovato quel libro quando avevo otto anni in uno scatolone polveroso nell’infermeria del mio collegio, e lo riprendevo ogni volta che mi ammalavo. È stata la prima lettura che ha in qualche modo bilanciato un’infanzia immersa nel conservatorismo ideologico e politico, e mi ha influenzato profondamente. Ho descritto il libro brevemente, e a quanto sembra in modo molto impreciso. Così ho chiesto aiuto ai lettori.

Possiamo sfruttare al massimo la vita che abbiamo, usandola il più possibile per fare il bene e combattere il male

Il risultato è stato il meglio e il peggio di internet. Molti lettori mi hanno dato suggerimenti e altri si sono generosamente dati da fare per trovarlo. Alcuni mi hanno consigliato libri affascinanti che avevano cambiato la loro vita. Ma questi tentativi di aiuto sono stati sommersi da una marea di critiche al vetriolo del tipo: come osi essere di sinistra, parlarci della tua vita, presumere di esistere dopo aver frequentato una scuola privata?

Be’, il problema dell’infanzia è che non puoi controllarla: è determinata dal contesto in cui vivi. Prendersela con qualcuno per le sue origini non è più razionale che farlo per il suo genere, l’altezza o il colore della pelle.

Possiamo aspettare fino a quando non ci reincarneremo nella classe socioeconomica giusta, oppure sfruttare al massimo la vita che abbiamo, usandola il più possibile per fare il bene e combattere il male. La sinistra sarebbe molto più deprimente se non avesse avuto qualche pensatore proveniente da un ambiente privilegiato. Potete sconfessare persone come George Orwell, Tony Benn, Pëtr Kropotkin, Friedrich Engels, Elizabeth Fry, Lev Tolstoj, William Morris, Beatrice Webb, Gandhi, Alexandra Kollontaj, Bertrand Russell, Vera Brittain, Clement Attlee, William Beveridge, Franklin Roosevelt, Paul Foot e Millicent Fawcett perché appartenevano o appartengono alla classe sbagliata. Oppure potete giudicare una persona per quello che fa piuttosto che per come è nata.

Ho capito quanto poco sono affidabili le nostre convinzioni. Usiamo la fantasia per riempire vuoti di cui non ci rendiamo conto

Ma per tornare al punto principale, devo assolutamente scusarmi con i lettori. All’inizio della discussione, ho scoperto che alcuni di loro avevano identificato correttamente il libro. Ma quando avevo guardato la copertina e le altre illustrazioni che avevo trovato online non lo avevo riconosciuto.

Così le persone hanno continuato a cercare. Solo quando, a discussione ormai chiusa, qualcuno mi ha mandato la foto di una particolare pagina, improvvisamente nella mia memoria si è accesa una scintilla.

Il libro, ormai fuori stampa da tempo, si intitolava Paolo and Panetto, e l’autrice era Bettina Ehrlich, una scrittrice austriaca in esilio. Ne ho ordinato una copia usata. Appena l’ho avuto in mano e ne ho sentito l’odore, sono stato travolto da un’ondata di sentimenti confusi. Improvvisamente, ho provato di nuovo la gioia della sua scoperta, la fascinazione e l’intensità con cui lo avevo letto, e la sofferenza di essere disteso in quella triste infermeria lontano da tutti quelli che amavo. Come per esorcizzare quei fantasmi, invece di leggerlo da solo, mi sono accoccolato vicino a mia figlia di tre anni e l’ho letto a lei. Le è piaciuto quanto era piaciuto a me.

Due cose mi hanno colpito in particolare. La prima è stata la frammentarietà della mia memoria. Ricordavo la trama a grandi linee, ma avevo sovrapposto due personaggi, cancellando dalla storia quello più interessante – il giovane dio Pan. Nel mio ricordo, un bambino viziato che viveva in un appartamento di lusso una sera ne aveva incontrato un altro che raccoglieva le cicche per strada. Quest’ultimo lo aveva portato in campagna e gli aveva fatto conoscere libertà che ignorava. Ma nell’originale, quella che aveva incontrato era una bambina. Grazie a lei aveva conosciuto Pan (o Panetto), che lo aveva portato nei campi e nei boschi. Questo mi ha fatto capire quanto poco sono affidabili le nostre convinzioni. Usiamo la fantasia per riempire vuoti dei quali non ci rendiamo conto. Siamo testimoni inaffidabili di noi stessi.

Il girone più basso dell’inferno è quello in cui nulla cambia, in cui nessuno può modificare il proprio destino

La seconda cosa di cui mi sono accorto è che la storia era meno forte di quanto ricordassi. Nella mia mente era diventata un’aspra denuncia della disuguaglianza, forse scritta da un comunista italiano. Ma il libro affronta il discorso politico con leggerezza. All’inizio il bambino viziato e la bambina stracciona scoprono le differenze tra le loro vite. Ma poi questo tema viene abbandonato fino alla fine, quando Paolo getta le sigarette di suo padre dalla finestra perché i ragazzi di strada possano raccoglierle.

È tutto qui: un bambino privilegiato ma trascurato esce dal suo mondo isolato, ne incontra un altro che vive in povertà e cerca di ridistribuire una minuscola parte della ricchezza della sua famiglia. È stato questo battito d’ala di una farfalla ad avviare il processo che avrebbe cambiato la mia vita.

Ovviamente non è stato l’unico. Centinaia di eventi successivi hanno contribuito a influenzarmi, e continuano a farlo. Spero che questo processo non si fermi mai. Per me, vivere una vita piena significa essere aperto all’esperienza e alla persuasione, sperimentare sempre nuove idee e conoscenze, rischiare il ridicolo verificando nuove teorie. Il pensiero di cadere in una statica rispettabilità mi atterrisce.

Aveva ragione Dante. Il girone più basso dell’inferno è quello in cui nulla cambia, la vita è congelata nell’immobilità, nessuno può modificare il proprio destino. Chi sostiene che a una certa età è impossibile cambiare idee e abitudini, che il lupo perde il pelo ma non il vizio, si taglia fuori della vita.

In una società che pretende di essere democratica, ereditare una posizione sociale, con la ricchezza e le opportunità che comporta, è già un male. Ereditare anche idee e strutture mentali significa rinunciare non solo all’onestà intellettuale, ma anche a buona parte della nostra umanità.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Da Cascina a Skate Farm, spazio condiviso multifunzionale ,solidale.

Al centro lo skateboarding e intorno a questo la coltivazione di un orto collettivo per la comunità, la creazione di un percorso di Orto Didattico rivolto ai bambini e ai genitori, il coinvolgimento della comunità locale e delle associazioni, attività manuali e ricreative collegate alla natura e allo sport e coinvolgimento di persone con fragilità. È Skate Farm alle porte di Alessandria.
Skate Farm parte da molto lontano, ed ha iniziato a concretizzarti solo nel 2011 quando è stata messa a disposizione da Angelo Invernizzi un’antica Cascina e i terreni annessi : a San Giuliano Nuovo (AL), ora gestiti da Massimiliano e Felipe.
“La cascina era totalmente da ristrutturare e trasformare ma armati di passione, amore per lo skate e voglia di creare un luogo unico ce l’abbiamo fatta, aiutati da molti amici. In quattro mesi abbiamo ridato vita a questo luogo rispettandone la storia e la natura -ci raccontano Felipe Le Suer e Massimiliano Barile gli ideatori del progetto- Giusto in quel periodo ci eravamo interessati per curiosità alla dismissione dell’ex Trinity Skatepark e abbiamo comprato le rampe da loro rimontandole poi qui. Al momento, dopo aver recuperato la vecchia stalla, stiamo sistemando la vecchia unità abitativa della cascina per realizzare nuovi progetti. Una parte è già stata sistemata ed è usufruibile per tutti coloro che vogliono fermarsi più giorni avendo a disposizione già due camere da letto”.

In un’ottica di economia circolare ed ecosostenibile, per ristrutturare gli spazi è stato riciclato tutto il possibile, ridando nuova vita a oggetti e materiali in disuso.

Il 16 dicembre 2012 la Skate Farm, unico skate park al coperto in Piemonte, ha aperto ufficialmente le porte ai giovani e da allora a oggi non ha mai smesso di accogliere appassionati provenienti da diverse regioni grazie all’associazione “La brugola Skate” affiliata alla FISR, Federazione Italiana Sport Rotellistici. Il luogo offre, oltre alla possibilità di skateare in tutta sicurezza, una zona di ristoro per picnic e grigliate, un grande spazio all’aperto per fare giocare i bambini a contatto con la natura e fare lunghe passeggiate.
Skate Farm è nato per l’unione e la coesione sociale con lo scopo di creare un luogo sano e piacevole, dove le persone possono socializzare e conoscersi. Vuole essere uno spazio di cui la comunità si appropria per abbellire la periferia, formare legami, formare bambini consapevoli, uno spazio di scambio e interscambio, un laboratorio progettuale aperto alla creatività sia individuale che di gruppo, un punto di riferimento sempre spalancato alla comunità.

“Nel grande spazio verde dello Skate Farm abbiamo iniziato ad allestire anche un piccolo appezzamento di terra destinato a un orto condiviso, che sarà a disposizione di tutti. Durante la coltivazione e la cura dell’orto, si coinvolgono e si mettono in relazione giovani con anziani, genitori e figli nativi e immigrati, in uno scambio che crediamo possa avere positive ricadute sociali e culturali”.

Skate Farm vuole infatti diventare sempre di più un luogo d’incontro e scambio di saperi che attraverso il contatto con la natura e lo sport ponga le basi nelle nuove generazioni, per costruire una società migliore per il domani e crescere le proprie passioni. Un luogo per promuovere l’autostima e l’emancipazione di ciascuno, in cui Sport e Natura siano valori aggregativi e formativi rivolti non solo agli appassionati che frequentano già lo Skatepark, ma a tutte le fasce di popolazione. Una attenzione speciale è rivolta ai più deboli, a rischio di emarginazione, al fine di prevenire il disagio e favorire l’integrazione e la coesione sociale, contrastando cosi ogni forma di marginalità e discriminazione, in una dimensione inclusiva e di partecipazione dell’intera comunità locale.

“Una parte di orto è già stata realizzata; ora si provvederà all’ingrandimento dell’area destinata alle attività orticole con l’abbattimento di eventuali barriere architettoniche in modo che anche persone con disabilità possano usufruire di tutti gli spazi. Sempre in un’ottica di economia circolare, si costruiranno con materiali di recupero vari cassoni di diverse altezze per permettere a tutti di accedervi. Oltre alle piante orticole coltivate nel rispetto dell’agro-ecologia e con metodi eco-compatibili, verranno trapiantate piante aromatiche per i laboratori sensoriali e verrà mantenuta la coltivazione di camomilla che qui cresce spontanea. L’orto verrà strutturato in modo tale da permettere sia attività ludiche che didattiche, rispettando appositi spazi tra una parcella e l’altra, realizzando camminamenti e scivoli, con spazi e finalità differenti per favorire possibilità, diversità ed equilibrio”.

Nel 2018 avviene infatto l’incontro con un’educatrice e terapista orticolturale, Margherita Volpini, da cui ha preso forma l’idea di creare un ambiente educativo multifunzionale, come occasione di inclusione e integrazione, per i più piccoli e non solo, programmando delle giornate in cui oltre a praticare lo skateboarding in sicurezza seguiti dagli istruttori che hanno dato vita allo Skate Farm, ci sia la possibilità di fare esperienze ludiche e didattiche in natura e nell’orto seguiti da personale specializzato in educazione in Natura.

Infine, nel pieno rispetto della filosofia con cui è stata restaurata la Skate Farm, si proporranno laboratori di riuso e riciclo per insegnare ai bambini che nulla è inutile e che materiali che tendenzialmente verrebbero buttati, grazie alla creatività, alla potenzialità di ciascuno possono trovare una nuova vita.

Dall’ENEA il giardiniere virtuale:meno spese, più verde e una qualità della vita più alta.

Il progetto si chiama Anthosart Green Tool e punta a ridurre i costi di gestione e il consumo d’acqua, ma anche a scoprire eventuali utilizzi alternativi delle piante.

Un “giardiniere virtuale”, pensato per pc e smartphone, ci aiuterà a progettare e curare il nostro spazio verde. Questo – e molto altro – è quello che ha pensato di fare Enea con il suo nuovo progetto Anthosart Green Tool, condotto in partnership con Forum Plinianum e Società Botanica Italiana e finanziato dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca.

Quello ideato da Enea è uno strumento innovativo e di facile utilizzo, che promette di farci risparmiare anche su costi di gestione e consumo d’acqua, oltre a scoprire eventuali utilizzi alternativi delle piante – come nell’alimentazione e nell’artigianato, ma anche i loro legami con l’arte, la letteratura, la musica e il territorio – e i modi migliori per farle crescere.

Puntare sulla flora italiana

Questo strumento – che dispone di un database di oltre 1.400 specie di piante presenti nel nostro Paese – è indicato per vivaisti e amministratori, ma anche per privati cittadini. Permetterà così a professionisti del settore e semplici appassionati di progettare aiuole, giardini e aree verdi nel pieno rispetto della natura, sulla base dell’area geografica e delle caratteristiche ambientali.

Obiettivo di Anthosart Green Tool infatti, è anche quello di incentivare l’utilizzo della flora italica. “La ricchezza della nostra flora – spiega Patrizia Menegoni, della divisione ENEA di Protezione e valorizzazione del territorio e del capitale naturale – con oltre settemila specie, e la capacità di adattamento alle diverse caratteristiche ambientali del territorio, offre grandi opportunità per la progettazione del verde e risponde anche alle esigenze di diversificazione dell’offerta del settore vivaistico”.

Quindi, dopo aver inserito i dati relativi all’area geografica, altitudine d’interesse, tipo di infrastruttura da realizzare (aiuola, giardino roccioso, viale, ecc.), tipologia e colori preferiti, livello di luminosità, umidità e salinità del terreno, il sistema ci informerà sulle specie più idonee e avremo accesso a fotografie, schede botaniche, approfondimenti culturali, consigli pratici e link utili.
Quali vantaggi

La spesa complessiva per consumi di gardening in Italia supera i 2 miliardi e 700 milioni di euro. E il trend è in continua crescita in tutto il mondo, con un giro di affari che supera gli 86 miliardi di dollari.

Sembra essere un buon momento, dunque, per sensibilizzare le persone e incentivarle a realizzare più aree verdi in città, cercando sempre di valorizzare la biodiversità nazionale. “Giardini, bordure, aiuole, tetti e pareti verdi potranno divenire luoghi di collegamento tra le infrastrutture verdi e il paesaggio naturale – prosegue Menegoni – per riportare la natura in città e costruire un verde urbano più sostenibile, migliorando anche la qualità della vita e il benessere delle persone”.

Oltre a regalare migliori performance, con la riduzione dei costi di gestione e del consumo dell’acqua, ci sono infatti ulteriori vantaggi dovuti all’inserimento nelle aree verdi di specie spontanee e non aliene, che possono favorire un “florovivaismo di qualità”, con la produzione di specie della flora d’Italia non ancora presenti sul mercato. Meno spese, più verde e una qualità della vita più alta, insomma: tre obiettivi concreti che Enea vuole aiutarci a raggiungere grazie a un semplice strumento digitale, in grado di guidarci anche se non siamo in possesso del famigerato pollice verde.

In Svizzera creato un prototipo con i funghi per sostituire la plastica.

In Svizzera un gruppo di giovani ricercatori sta studiando le proprietà fisiche dei funghi con l’obiettivo di realizzare un valido sostituto alla plastica. Per la precisione otto studenti della facoltà d’ingegneria ambientale e architettura del Politecnico di Losanna stanno sperimentando le potenzialità pratiche del micelio, l’insieme di filamenti costituenti il tallo dei funghi. Questa sostanza filiforme si può legare in maniera naturale a vari substrati, come la segatura, e la miscela risultante può essere modellata in oggetti come mattoni, pannelli, trucioli di imballaggio e persino mobili.

“L’idea – spiega Gaël Packer, uno studente di ingegneria ambientale – è nata quando abbiamo incontrato studenti di architettura della nostra scuola per sviluppare un’alternativa originale e innovativa ai materiali da costruzione esistenti”. Ispirati da una conferenza TED, Paker e i suoi compagni hanno voluto dare il loro contributo alla comunità di pionieri preoccupati per il futuro del nostro pianeta.

In Umbria parte il progetto “Tree Talker”il “whatsapp” degli alberi.

Un gruppo di scienziati, ricercatori e dottori forestali italiani ha avviato l’esperimento “Tree Talker” e si è messo in ascolto di 36 esemplari del bosco di Piegaro, in provincia di Perugia.

Grazie a dei sensori collocati sul tronco, la pianta comunica dei dati relativi al carbonio assorbito, alla crescita in diametro, alla condizione delle foglie e ai flussi d’acqua che poi vengono trasformati in impulsi sonori. Sono suoni astratti ma evocativi, rappresentano una lingua nuova ma familiare, una lingua speciale, forse quella del futuro.

L’’esperimento che coinvolge 400 alberi nel mondo, a Piegaro Antonio Brunori, segretario generale del Pefc Italia, una ONG che si occupa di gestione sostenibile delle foreste e delle sue filiere che, insieme al Centro Euro Mediterraneo sui cambiamenti climatici supervisionato dal Nobel per la pace Riccardo Valentini, sta sviluppando il progetto ‘Tree Talker’; due zoologi Cristiano Spilinga ed Emi Petruzzi dello studio naturalistico Hyla; e il musicista e compositore Federico Ortica che proprio a Piegaro sperimenta come far risuonare i tronchi degli alberi per trasformare il bosco in sorgente e diffusore di suoni.Dopo l’inerno nel quale le piant esono in riposo vegetativo, tutti sono in attesa del loro risveglio!A breve Brunori ci farà sentire cosa dicono gli alberi.

Presentato a Bracciano il Progetto Collina dei Venti. Primo del genere in Europa.

E’ stato presentato , nella sala Conferenze , dell’Archivio storico di Bracciano , il progetto : “Collina dei venti” che, per iniziativa dell’Associazione per la Fondazione Paola Decini, in collaborazione con l’Università agraria di Bracciano , intende realizzare un polo polivalente all’insegna dell’economia sociale della solidarietà .Polo incentrato su una casa di “seconda accoglienza” per donne che hanno subito violenza ed i loro figli , su attività di recupero di soggetti con handicap , sullo sviluppo di una moderna agricoltura, su iniziative culturali e creative, interagendo con la comunità locale, con l’economia sociale, un positivo sviluppo e posti di lavoro. Il classico rapporto economico costi-benefici per stabilire quale possa essere il profitto viene cosi sostituito dal valore della solidarietà spontanea che porta benefici ad altri “Non tutto quello che è misurabile vale , non tutto quello che vale è misurabile”, come ha affermato il professor Vinicio Bottacchiari, presidente dell’Associazione Paola Decinipromotrice, quale beneficio posso portare agli altri ? Questo significa coniugare solidarietà , uguaglianza lavoro, partecipazione amore, creando un ‘ operosa solidale comunità. In tale contesto – come ha sottolineato il coordinatore del progetto Mauro Valente- le donne vittime di violenza potranno trovare nella “Collina dei Venti “un sereno futuro anche se hanno figli perché recupereranno , attraverso il lavoro dignità e futuro. Un documentario realizzato da Enzo Berardi , ha illustrato al folto pubblico presente la realtà attuale della “Collina dei venti” nove ettari di campi di boschi di proprietà dell’Università di Agraria di Bracciano ,dove 40 anni orsono venne creata la comunità di recupero “Punto linea Verde” con moderne strutture, laboratori, campo da calcio, animali, percorsi di psicoterapia un esempio unico in Europa, purtroppo bloccato da un’incidente il centro è rimasto chiuso per vari anni, poi è stato fatto un bando , di vendita del terreno ma è rimasto deserto. Oggi l’Università di Agraria di Bracciano ha accettato di far parte dell’iniziativa della “Decini” cosi’ come varie Associazioni locali, compresa quella l’Onlus Libertè di Renata Taddei ideatrice di Punto Linea Verde, ha raccolto commossa, una vera ovazione.
La “Collina dei Venti” ha oggi il sostegno degli enti locali, dell’area di Bracciano e di esponenti politici che hanno preso la parola per esprimere la loro soddisfazione per il progetto e confermare il loro sostegno: dalla Senatrice Anna Maria Parente, dal consigliere regionale Emiliano Minucci e dalla sua collega, presidente della Commissione Pari Opportunità, Marta Bonafonti, al Sindaco di Trevignono Claudia Maciocchi, all’ Assessore per politiche sociali del Comune di Bracciano Roberta Alimenti , all’Assessore all’istruzione Claudia Marini.
L’adesione è stata data anche da Caterina Goffon del Centro anti violenza di Anguillara, mentre il vice-presidente dell’Università di Agraria di Bracciano Angelo Alberto Bergodi ha sottolineato le caratteristiche di”Collina dei Venti” distante qualche km da Bracciano in via della Macchia localita’ Torara. E li che tutti sono stati invitati dopo la conferenza , un rinfresco a base di prodotti tipici dell’area. Una standy ovation è andata alla madre di Paola Decini che aveva proprio il sogno di realizzare una realtà come quella che sta sorgendo e che ha gia’ un pezzo di terra lavorato dalla “fattoria sociale”di Vincet e Stella.
Dora Decini
Molti dei presenti si sono augurati che la Regione Lazio ,grazie anche ai Fondi Europei , e gli Enti Bancari vogliano dare un concreto sostegno che puo’ divenire un esempio a livello UE, coniugando difesa della donna , imprenditorietà e attività culturali ,associative, dando un incisivo contributo allo sviluppo di un territorio con.nuovi posti di lavoro .

La fine dell’anomimato alimentare. Gli agricolotori comprano un LIDOL.

In Alsazia un collettivo di agricoltori ha comprato un supermercato della catena Lidl trasformandolo in un mercato di vendita diretta. Qui le logiche della grande distribuzione vengono ribaltate a tutto vantaggio della qualità dei prodotti, del rapporto di fiducia con i consumatori e della prosperità per l’economia locale.
Come poter fare per vendere i propri prodotti di verdura e frutta direttamente ai consumatori, evitando i distributori tradizionali che gravano sul prezzo finale e riducono all’osso il guadagno dei produttori? Questa è la domanda che si sono posti 35 agricoltori e contadini dell’Alsazia. La risposta è arrivata rapidamente: raggrupparsi per comprare un supermercato!
L’iniziativa contadina per andare oltre la grande distribuzione, è crescente soprattutto negli ultimi tempi. Dall’esempio di altri agricoltori dell’est della Francia, zona Colmar, Denis Diegal, capo del collettivo dei produttori agricoli di Sélestat, ci racconta come è nato questo progetto di riscatto in Alsazia.
“Il pensiero era sorto da molto tempo: sono un produttore di verdure e pratico la vendita al dettaglio da anni senza vendere i miei prodotti alla grande distribuzione, sia per via dei ricarichi addossati al consumatore, sia per il tipo di servizio che offrono. Insieme ad altri agricoltori e contadini abbiamo pensato di comprare un magazzino Lidl, per arrivare direttamente al consumatore. Il supermercato è stato ribattezzato Coeur Paysan (Cuore contadino). È un luogo di vendita diretta dal produttore al consumatore, dove gli agricoltori vendono regolarmente. È un mezzo per prodotti locali e valorizzare il savoir-faire ancestrale dei produttori, cioè quello che la grande distribuzione non vuole!”.
Per Denis Diegel e i suoi colleghi, l’obiettivo è anche rispondere a una domanda in aumento di prodotti locali, soddisfatta da produttori che orbitano tutti in un raggio di 40 km dal supermercato. “In termini di prezzi siamo più vantaggiosi rispetto ai grossisti, per esempio, sulle primizie che vendiamo a 10 euro al chilo, mentre nelle grandi distribuzioni il prezzo è di 12/13 euro; per altri prodotti, tipo i formaggi, siamo più cari perché la qualità del prodotto non è sicuramente la solita!”.

coeur2

Anche il modello economico del magazzino è diverso da quello della grande distribuzione: gli agricoltori e i contadini sono proprietari dei loro prodotti fino all’arrivo alla cassa del supermercato, dove viene imposta una commissione che va dal 22% al 32% da lasciare al magazzino; fino a lì i produttori sono responsabili dei loro prodotti con il consumatore, con cui trattano il prezzo faccia a faccia. Un altro obbligo dei produttori è la presenza nel supermercato in almeno due mezze giornate al mese. Questa presenza è apprezzata dai consumatori perché in questo modo hanno una trasparenza del prodotto che acquistano del 100%.
“È la fine dell’anonimato alimentare“, sottolinea Denis. “Abbiamo necessità del ritorno del consumatore con cui ci si confronta e per cui ci adeguiamo al suo bisogno! Per esempio dei clienti ci hanno chiesto gli involtini primavera per il Capodanno cinese……e li abbiamo finiti tutti velocemente!”.

Dentro al magazzino Coeur Paysan si possono scoprire e ritrovare varietà di frutta e verdura dimenticati nella grande distribuzione: è un cambio nutritivo e gustativo! In più si possono trovare prodotti freschi ad un giusto prezzo che remunera correttamente i piccoli produttori. Non è difficile immaginare che questo supermercato possa far nascere altri piccoli magazzini, basta che questa esperienza venga conosciuta e divulgata a più persone possibile e che altri agricoltori e contadini prendano esempio dai colleghi Alsaziani!

La corsa di Miguel.”Per te atleta, che disprezzi la guerra e sogni la pace”.

In questi giorni tutte le scuole statali di Roma partecipano alla corsa di Miguel .
Ma chi era Miguel Benancio Sánchez?

Nato a Bella Vista, del 1952 , Miguel si trasferì da adolescente a Buenos Aires dove ottiene un posto fisso alla banca della Provincia di Buenos Aires, ed inizia ad appassionarsi all’atletica.
Inizia ad allenarsi tutti i giorni prima e dopo il lavoro, a non fumare e a curare l’alimentazione perché il suo sogno era di vincere una medaglia olimpica per la sua Argentina.Correva Miguel, aveva la corsa nel sangue e amava il suo paese, l’Argentina, ma l’Argentina dei suoi 25 anni non amava lui e per la sola colpa di amare la vita, una sera di 40 anni fa, nella notte tra l’8 e il 9 gennaio 1978, Miguel Benancio Sanchez è stato preso diventando uno delle migliaia di desaparecidos di cui non si è saputo più nulla. Un giornalista sportivo italiano anni dopo, venuto a conoscenza di questa storia, ha voluto organizzare una corsa in suo ricordo ed ora la Corsa di Miguel è diventato un appuntamento internazionale per chi ama la corsa e soprattutto la libertà. La Corsa di Miguel oggi si corre anche a Buenos Aires, a Bariloche (Argentina), a Barcellona in Spagna, negli Stati Uniti e a L’Aquila dal 2009.

Ci teniamo a concludere l’articolo con una sua poesie “Para vós, atleta”, pubblicata dal quotidiano Brasiliano in occasione della corsa di San Silvestre 1977, terza ed ultima partecipazione alla gara.

“Per te, atleta.
Per te che sai di freddo,
di calore,
di trionfi e di sconfitte,
che no, non lo sono.
Per te che hai il corpo sano,
l’anima larga e il cuore grande.
Per te che hai molti amici,
molti aneliti,
l’allegria adulta,
il sorriso dei bambini.
Per te che non sai né di gelo né di sole,
né di pioggia né di rancori.
Per te, atleta,
che traversasti paesini e città,
unendo Stati nel tuo andare.
Per te, atleta, che disprezzi la guerra e sogni la pace”.
L’Argentina, nella sua storia, ha grandi ferite, ma quelle della dittatura militare e dei desaparecidos sono ferite spesso ancora aperte. Miguel Benancio Sanchez era un giovane che amava l’atletica e il suo Paese, ma l’Argentina dei militari non gli ha permesso di continuare a correre come avrebbe voluto e soprattutto ad essere un uomo libero. Fu portato via una notte e scomparve come tanti in quel buio momento della storia argentina. Una corsa, un appuntamento e una storia che ha anche ispirato un libro, “Sulle strade di Miguel“ di Sergio Pretto.Ora ragazzi liberi corrono anche per lui!

“DONNE” .Un romanzo al femminile di Camilleri .

Oggi parliamo di un romanzo di Camilleri uscito nel 2014, da pochi conosciuto anche se bellissimo dove si analizza con straordinaria capacità psicologica le donne, e non importa se l’autore le abbia veramente conosciute o no , conta che una volta inziata a conoscere la pesonalità delle tante protagoniste, il libro ti rapisca e avvolga come solo l’autore siciliano sa fare. Sono rappresentate
donne fiere che non cedono a minacce né a lusinghe, pronte ad affrontare il loro destino.
Donne misteriose che compaiono e scompaiono nel volgere di un viaggio in nave. Donne soavi e inebrianti, come la Sicilia. Sono loro le protagoniste di questo libro unico, viste da un Andrea Camilleri in carne e ossa, prima di diventare lo scrittore più amato d’Italia. Un intimo, giocoso catalogo delle donne che nel corso dei secoli gli uomini hanno di volta in volta amato e odiato.Consigliatissimo.

Sturtup: Veve l’orto verticale,da un anno in crescita le vendite.

Veve, acronimo che sta per “vertical veggie”, cioè vegetali in verticale, è una startup nata in Trentino che ha pensato di regalare un orto anche a chi vive in città e pensa di non avere abbastanza spazio. Grazie alla tecnologia studiata da Veve, in un solo metro quadro è possibile coltivare 200 piante, come se di metri quadri ne avessimo venti! È possibile grazie a un elettrodomestico, una sorta di torre (fatta da una struttura a incastro e una serie di tubi) che permette di posizionare le piante in verticale, e di nutrirle direttamente alla radice grazie all’areoponica, una tecnologia che permette di nutrire le piante direttamente alle radici: basta riempire il sistema d’acqua e attaccarlo a una presa elettrica.

L’orto sul terrazzo è sano, è verde, è conveniente (costa intorno ai 1500 euro, ma il costo è presto ammortizzato, produce fino a 200 chili di verdura l’anno e risparmia il 90% di acqua rispetto all’equivalente coltivazione su terra).