L’olocausto piu’ grande della storia quello dei nativi americani.

100 Milioni di Nativi Americani sono stati uccisi –

L’olocausto degli Indiani d’America, conosciuto come i “500 anni di guerra” e il “Più Grande Olocausto del mondo nella storia del genere umano, come durata e perdita di vite umane operato per mano degli Occidentali..”
L’olocausto dei nativi americani non fu solo lo sterminio di milioni di persone, fu qualcosa di più profondo. Fu, oltre l’eccidio, anche la totale distruzione delle loro avanzatissime culture molto più in contatto con la natura, la conoscenza delle piante e leggi dell’universo. Per avere un’idea della loro meravigliosa etica vedi Il Codice Etico dei Nativi Americani.

Il massacrò iniziò praticamente pochi anni dopo la scoperta del continente americano e si concluse alla soglia della Prima Guerra Mondiale, quindi si sviluppò lungo un periodo di tempo molto vasto e difficilmente delimitabile. Le modalità del genocidio poi sono state molte, dall’eccidio vero e proprio di intere comunità sterminate sistematicamente con le armi da eserciti regolari o da soldataglie criminali assoldate alla bisogna per mantenere pulita l’immagine dei governi ufficiali, alla diffusione intenzionale di malattie endemiche come il vaiolo, alla distruzione delle piante e degli animali per impedire che gli indiani si nutrissero.
Oggi le vicende dei nativi americani possono sembrare racconti lontani nel tempo, ma non è così. Nonostante il massacro sono molti i nativi che vivono ancora nelle americhe. Nel centro e nel sud del continente ne rimangono decine di milioni che, dopo secoli di sfruttamento e privazioni in alcuni paesi stanno conoscendo finalmente il riscatto sociale. Le rivoluzioni bolivariane nate nel continente sul finire degli anni ’90, hanno portato in molti paesi alla nascita di governi più sensibili ai loro diritti, un processo culminato nell’elezione di Evo Morales a presidente della Bolivia nel 1998, il primo indios americano al potere dopo oltre quattro secoli.

Non si può dire lo stesso dei nativi rimasti in nord America. Nonostante vi sia stato un lento riconoscimento dei crimini commessi, culminato nelle scuse ufficiali presentate dal senato statunitense nel 2005, i nativi continuano a vivere in condizioni di drammatica esclusione sociale. Tra i giovani indigeni che vivono nelle riserve il tasso di suicidi è ancora oggi 150 volte superiore rispetto a quello dei coetanei bianchi, mentre l’alcolismo e la disoccupazione sono piaghe che colpiscono un nativo su cinque.

Così come non è ancora cessata neanche la presunzione da parte del governo Usa di poter disporre dei territori nativi come se fossero i propri. Lo dimostra il recente caso del Dakota Access Pipeline, il grande oleodotto in costruzione nelle zone sacre della nazione Sioux in Nord Dakota. I nativi hanno protestato per mesi, ottenendo in cambio ancora una volta una spietata repressione con cariche e arresti da parte della polizia. Un secolo fa per i bianchi la vita dei nativi non valeva più di quella degli animali, oggi non è più così, ma i loro diritti valgono comunque meno di un barile di petrolio.

“Il concetto di Hitler dei campi di concentramento, così come la praticità di genocidio devono molto, così ha affermato, ai suoi studi di storia inglese e degli Stati Uniti. Ammirava i campi per i prigionieri boeri in Sudafrica e quelli degli indiani nel selvaggio West; e spesso ha elogiato l’efficienza dello sterminio degli Stati Uniti – per fame e combattimenti irregolari – dei selvaggi rossi che non potevano essere conquistati con la prigionia “.
P. 202, “Adolf Hitler” di John Toland